Appunti per lo studio della Batteria : Questo è il metodo che ho sviluppato per lo studio della batteria ed è il frutto di più di dieci anni di insegnamento, un approccio semplice ed efficace, un manuale completo di CD con le tracce degli esercizi per chi è alle prime armi e per chi vuole perfezionare la tecnica.
Le lezioni si svolgono a Roma in zona San Lorenzo in uno studio completamente attrezzato e con due batterie.
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Qui sotto un esempio di alcune pagine del libro e una descrizione della mia didattica
Il Primo passo: la pulsazione fondamentale
Questo metodo di studio della batteria vede come perno centrale la pulsazione fondamentale con le sue divisioni e i suoi multipli. Quando un allievo si affaccia alla mia porta per la prima volta va in scena la prima lezione che è un ponte tra tutta la musica che ha ascoltato fino a quel momento e lo studio della batteria, attraverso la comprensione dell'importanza della pulsazione. L'esempio più banale che si possa fare per spiegare la pulsazione fondamentale è chiedere all'allievo quale sia la reazione motoria più semplice all'ascolto di un brano e si arriva ben presto alla risposta: la scansione con qualche arto o con la testa della pulsazione. Senza rendersene conto già sta suonando la batteria che se vogliamo sintetizzare può essere definita come l'arte di muoversi nel tempo. Anche battere un piede è dunque muoversi nel tempo e tutti, o quasi, lo sanno fare. Compreso questo passaggio bisogna solo mettere le bacchette in mano, e il resto del lavoro sarà incentrato su questo concetto di base.
Nella stragrande maggioranza della musica occidentale la pulsazione fondamentale corrisponde alla scansione dei quarti, ovvero della semiminima e questo per ragioni sia di comodità di scrittura che di accenti. Infatti pare che l'uomo abbia bisogno di divisioni metriche abbastanza ravvicinate tra loro e che i concetti musicali troppo lunghi senza scansione ritmica perdano di interesse. Il quarto insomma è l'ancora che ci tiene legati a quello che stiamo ascoltando. Che poi sia chiamato quarto e scritto in quel modo è ovviamente una pura convenzione. Quando altre divisioni come la minima o la croma vengono usate come pulsazione fondamentale non cambia assolutamente nulla, è semplicemente più comodo scrivere in quel modo. Comunque è dai quarti che parte tutto.
Una volta che l'allievo inizia a battere la pulsazione fondamentale in relazione ad un brano che si sta ascoltando spengo la musica e resta solo il “beat”: “ si può rappresentare questa pulsazione come una serie di pallini equidistanti l'uno dall'altro?”-”certo” risponderà lui o lei, “bene, se a questi pallini neri aggiungo una stanghetta verticale e prendo qualche altro accorgimento ottengo la scrittura musicale, ovvero un linguaggio condiviso da tantissima gente ma è solo una convenzione poiché la cosa fondamentale è la pulsazione, fondamentale.
-Lo stato d'animo dell'allievo e gli insegnamenti di
Kenny Werner
Ecco che il primo capitolo del libro diventa chiaro e con qualche altra piccola spiegazione l'allievo può suonarlo tutto già dalla prima lezione: può studiare la tecnica, la coordinazione, gli accenti, la lettura ritmica e alcuni semplici pattern che gli fanno fare una passeggiata sulla batteria e questa per me è la cosa più importante, cioè che la persona che affronta lo studio della musica non si senta distante e schiacciato da un mare di tecnica e di conoscenze che ancora non ha, è importante che sin da subito sia soddisfatto nel sapere che tutto sommato non era poi così lontano dal poter mettere le mani sulla batteria e ora, dopo la prima lezione, può farlo con cognizione di causa forte della comprensione dei simboli scritti che ora sa interpretare e della sicurezza che il maestro ha saputo fornirgli. Il punto principale è l'eliminazione di quel senso di frustrazione che spesso accompagna lo studio della musica, quel ricorrente pensiero di non saper fare qualcosa e una volta imparato l'ennesimo esercizio spunta fuori qualcos'altro che non sappiamo fare. Ci sarà sempre e per tutti i musicisti, anche per i più capaci, qualcosa che non si sa fare e qualche altra cosa da imparare e se questo diventa il punto di vista da cui vediamo la musica e il suo studio la frustrazione diventa più forte del resto e mentre per certi versi può essere uno stimolo, per altri rischia di ripresentarsi continuamente nella nostra testa come un demone che non ci lascia più soli. Ho la sensazione che i grandi musicisti con cui sono venuto in contatto abbiano risolto questo problema concentrandosi su se stessi e riducendo per forza di cose il campo delle loro possibilità riuscendo così a concentrarsi su qualcosa di specifico. Operare delle scelte all'interno delle quali potersi muovere diventa una necessità e offre delle possibilità alla portata dell'essere umano e dunque ci si concede lo spazio per la crescita e la comprensione e soprattutto si acquista il giusto stato d'animo per poter entrare in relazione con gli altri musicisti attraverso il proprio strumento e col mondo attraverso la musica che si esprime insieme, senza veicolare più o meno sotto traccia elementi dissonanti come la frustrazione o la paura. Infatti noi possiamo controllare quello che facciamo quando suoniamo ma come per il linguaggio del corpo lo possiamo fare fino ad un certo punto, ovvero ci sarà sempre una parte di messaggio che viene dal nostro inconscio e che difficilmente riusciamo a celare e che porterà con se tutte le nostre istanze più remote.
Il pianista statunitense Kenny Werner nel suo libro “Effortless Mastery” individua proprio nella paura e nella frustrazione gli ostacoli principali sulla via dell'espressione musicale e declina questi sentimenti su tutti gli ambiti in cui si trova ad operare un musicista: paura di studiare, ascoltare, suonare, scrivere musica, insegnare e rende chiaro il meccanismo attraverso il quale riusciamo a farci vincere dal sentimento di inadeguatezza e lo moltiplichiamo attraverso le nostre azioni infondendolo ai nostri allievi, colleghi e ascoltatori. Secondo Werner la chiave per guarire da questi mali è la meditazione e l'entrare in contatto con la propria coscienza attraverso un percorso spirituale che ci faccia provare amore per il prossimo e che ci guidi verso sentimenti di adeguatezza e comunione con chi ci ascolta, annullando in qualche modo il proprio chiacchiericcio mentale inutile e dannoso per permettere ai flussi di energia vitale che sono intorno a noi di pervaderci facendoci esprimere attraverso la musica. Il musicista come decodificatore di energie in un linguaggio comprensibile ad altri uomini, ponte con il divino. Una visione Sciamanica senza dubbio ma non è questo l'importante, la cosa fondamentale è che per la prima volta ho potuto verificare che non ero il solo a provare certe difficoltà in relazione alla musica e in particolare al Jazz a cui i musicisti soprattutto in Italia hanno spesso attribuito elementi che lo hanno fatto discostare dalla sua funzione espressiva principale, elementi di difficoltà nel comprenderlo, aloni di magici misteri celati al suo interno, sentimenti di autodistruzione, creando un pubblico spesso frustrato anch'esso.
Quando qualche anno fa ho iniziato a dare lezioni di batteria mi sono chiesto quale volevo che fosse il messaggio principale che al di là di tutto volevo infondere nei miei allievi e la risposta è stata semplice: l'adeguatezza, ovvero tutto il contrario rispetto ai sentimenti che ho sopra descritto. “Lo posso fare”, vorrei che ogni mio allievo si ripetesse dopo la lezione.
Come realizzare questo splendido proposito? A parole non basta, bisogna sporcarsi le mani con la didattica e immaginare quello di cui avranno bisogno i miei allievi futuri. Per questo sono ovviamente partito da quello di cui ho avuto bisogno io: metodo.
- Come è strutturato il libro
John Ramsay e Bob Gullotti mi hanno lasciato due importanti precetti: lavora ogni giorno su tutte le aree di studio della batteria e dedica un periodo preciso della tua giornata allo studio dopo di che smetti di studiare e vivi la tua vita. Mi sono dunque soffermato su questi due aspetti ma soprattutto sul primo poiché il secondo è un messaggio tanto semplice quanto breve da comunicare, restava dunque da affrontare l'esposizione delle aree di studio e ho trovato nel concetto di divisione ritmica la base da cui partire per esporre gli esercizi in ogni capitolo del libro e per mettere in condizione l'allievo di poter apprendere gradualmente senza lasciare buchi da colmare in seguito, forte della convinzione che ogni argomento farà da spalla al successivo. Studiare la tecnica mi mette in condizione di muovermi correttamente per fare gli esercizi di lettura, che a loro volta mi permettono di studiare la coordinazione e così via. La sequenza degli esercizi nel libro è impostata in modo che il precedente sia da base per il successivo. Ho cercato di ridurre al minimo l'aumento di difficoltà tra un esercizio e l'altro per dare a tutti, anche ai meno portati, la possibilità di progredire e per riuscire io stesso ad essere sempre molto chiaro nelle spiegazioni evitando di trascurare qualche concetto teorico.
Inoltre quando si insegna si è responsabili nei confronti di tutta la comunità musicale visto che un domani l'allievo che si ha davanti si interfaccerà con altri musicisti o magari sarà insegnante lui stesso e dunque i miei insegnamenti nel bene e nel male entreranno in rapporto con una quantità inimmaginabile di persone.
Questo metodo di studio della batteria vede come perno centrale la pulsazione fondamentale con le sue divisioni e i suoi multipli. Quando un allievo si affaccia alla mia porta per la prima volta va in scena la prima lezione che è un ponte tra tutta la musica che ha ascoltato fino a quel momento e lo studio della batteria, attraverso la comprensione dell'importanza della pulsazione. L'esempio più banale che si possa fare per spiegare la pulsazione fondamentale è chiedere all'allievo quale sia la reazione motoria più semplice all'ascolto di un brano e si arriva ben presto alla risposta: la scansione con qualche arto o con la testa della pulsazione. Senza rendersene conto già sta suonando la batteria che se vogliamo sintetizzare può essere definita come l'arte di muoversi nel tempo. Anche battere un piede è dunque muoversi nel tempo e tutti, o quasi, lo sanno fare. Compreso questo passaggio bisogna solo mettere le bacchette in mano, e il resto del lavoro sarà incentrato su questo concetto di base.
Nella stragrande maggioranza della musica occidentale la pulsazione fondamentale corrisponde alla scansione dei quarti, ovvero della semiminima e questo per ragioni sia di comodità di scrittura che di accenti. Infatti pare che l'uomo abbia bisogno di divisioni metriche abbastanza ravvicinate tra loro e che i concetti musicali troppo lunghi senza scansione ritmica perdano di interesse. Il quarto insomma è l'ancora che ci tiene legati a quello che stiamo ascoltando. Che poi sia chiamato quarto e scritto in quel modo è ovviamente una pura convenzione. Quando altre divisioni come la minima o la croma vengono usate come pulsazione fondamentale non cambia assolutamente nulla, è semplicemente più comodo scrivere in quel modo. Comunque è dai quarti che parte tutto.
Una volta che l'allievo inizia a battere la pulsazione fondamentale in relazione ad un brano che si sta ascoltando spengo la musica e resta solo il “beat”: “ si può rappresentare questa pulsazione come una serie di pallini equidistanti l'uno dall'altro?”-”certo” risponderà lui o lei, “bene, se a questi pallini neri aggiungo una stanghetta verticale e prendo qualche altro accorgimento ottengo la scrittura musicale, ovvero un linguaggio condiviso da tantissima gente ma è solo una convenzione poiché la cosa fondamentale è la pulsazione, fondamentale.
-Lo stato d'animo dell'allievo e gli insegnamenti di
Kenny Werner
Ecco che il primo capitolo del libro diventa chiaro e con qualche altra piccola spiegazione l'allievo può suonarlo tutto già dalla prima lezione: può studiare la tecnica, la coordinazione, gli accenti, la lettura ritmica e alcuni semplici pattern che gli fanno fare una passeggiata sulla batteria e questa per me è la cosa più importante, cioè che la persona che affronta lo studio della musica non si senta distante e schiacciato da un mare di tecnica e di conoscenze che ancora non ha, è importante che sin da subito sia soddisfatto nel sapere che tutto sommato non era poi così lontano dal poter mettere le mani sulla batteria e ora, dopo la prima lezione, può farlo con cognizione di causa forte della comprensione dei simboli scritti che ora sa interpretare e della sicurezza che il maestro ha saputo fornirgli. Il punto principale è l'eliminazione di quel senso di frustrazione che spesso accompagna lo studio della musica, quel ricorrente pensiero di non saper fare qualcosa e una volta imparato l'ennesimo esercizio spunta fuori qualcos'altro che non sappiamo fare. Ci sarà sempre e per tutti i musicisti, anche per i più capaci, qualcosa che non si sa fare e qualche altra cosa da imparare e se questo diventa il punto di vista da cui vediamo la musica e il suo studio la frustrazione diventa più forte del resto e mentre per certi versi può essere uno stimolo, per altri rischia di ripresentarsi continuamente nella nostra testa come un demone che non ci lascia più soli. Ho la sensazione che i grandi musicisti con cui sono venuto in contatto abbiano risolto questo problema concentrandosi su se stessi e riducendo per forza di cose il campo delle loro possibilità riuscendo così a concentrarsi su qualcosa di specifico. Operare delle scelte all'interno delle quali potersi muovere diventa una necessità e offre delle possibilità alla portata dell'essere umano e dunque ci si concede lo spazio per la crescita e la comprensione e soprattutto si acquista il giusto stato d'animo per poter entrare in relazione con gli altri musicisti attraverso il proprio strumento e col mondo attraverso la musica che si esprime insieme, senza veicolare più o meno sotto traccia elementi dissonanti come la frustrazione o la paura. Infatti noi possiamo controllare quello che facciamo quando suoniamo ma come per il linguaggio del corpo lo possiamo fare fino ad un certo punto, ovvero ci sarà sempre una parte di messaggio che viene dal nostro inconscio e che difficilmente riusciamo a celare e che porterà con se tutte le nostre istanze più remote.
Il pianista statunitense Kenny Werner nel suo libro “Effortless Mastery” individua proprio nella paura e nella frustrazione gli ostacoli principali sulla via dell'espressione musicale e declina questi sentimenti su tutti gli ambiti in cui si trova ad operare un musicista: paura di studiare, ascoltare, suonare, scrivere musica, insegnare e rende chiaro il meccanismo attraverso il quale riusciamo a farci vincere dal sentimento di inadeguatezza e lo moltiplichiamo attraverso le nostre azioni infondendolo ai nostri allievi, colleghi e ascoltatori. Secondo Werner la chiave per guarire da questi mali è la meditazione e l'entrare in contatto con la propria coscienza attraverso un percorso spirituale che ci faccia provare amore per il prossimo e che ci guidi verso sentimenti di adeguatezza e comunione con chi ci ascolta, annullando in qualche modo il proprio chiacchiericcio mentale inutile e dannoso per permettere ai flussi di energia vitale che sono intorno a noi di pervaderci facendoci esprimere attraverso la musica. Il musicista come decodificatore di energie in un linguaggio comprensibile ad altri uomini, ponte con il divino. Una visione Sciamanica senza dubbio ma non è questo l'importante, la cosa fondamentale è che per la prima volta ho potuto verificare che non ero il solo a provare certe difficoltà in relazione alla musica e in particolare al Jazz a cui i musicisti soprattutto in Italia hanno spesso attribuito elementi che lo hanno fatto discostare dalla sua funzione espressiva principale, elementi di difficoltà nel comprenderlo, aloni di magici misteri celati al suo interno, sentimenti di autodistruzione, creando un pubblico spesso frustrato anch'esso.
Quando qualche anno fa ho iniziato a dare lezioni di batteria mi sono chiesto quale volevo che fosse il messaggio principale che al di là di tutto volevo infondere nei miei allievi e la risposta è stata semplice: l'adeguatezza, ovvero tutto il contrario rispetto ai sentimenti che ho sopra descritto. “Lo posso fare”, vorrei che ogni mio allievo si ripetesse dopo la lezione.
Come realizzare questo splendido proposito? A parole non basta, bisogna sporcarsi le mani con la didattica e immaginare quello di cui avranno bisogno i miei allievi futuri. Per questo sono ovviamente partito da quello di cui ho avuto bisogno io: metodo.
- Come è strutturato il libro
John Ramsay e Bob Gullotti mi hanno lasciato due importanti precetti: lavora ogni giorno su tutte le aree di studio della batteria e dedica un periodo preciso della tua giornata allo studio dopo di che smetti di studiare e vivi la tua vita. Mi sono dunque soffermato su questi due aspetti ma soprattutto sul primo poiché il secondo è un messaggio tanto semplice quanto breve da comunicare, restava dunque da affrontare l'esposizione delle aree di studio e ho trovato nel concetto di divisione ritmica la base da cui partire per esporre gli esercizi in ogni capitolo del libro e per mettere in condizione l'allievo di poter apprendere gradualmente senza lasciare buchi da colmare in seguito, forte della convinzione che ogni argomento farà da spalla al successivo. Studiare la tecnica mi mette in condizione di muovermi correttamente per fare gli esercizi di lettura, che a loro volta mi permettono di studiare la coordinazione e così via. La sequenza degli esercizi nel libro è impostata in modo che il precedente sia da base per il successivo. Ho cercato di ridurre al minimo l'aumento di difficoltà tra un esercizio e l'altro per dare a tutti, anche ai meno portati, la possibilità di progredire e per riuscire io stesso ad essere sempre molto chiaro nelle spiegazioni evitando di trascurare qualche concetto teorico.
Inoltre quando si insegna si è responsabili nei confronti di tutta la comunità musicale visto che un domani l'allievo che si ha davanti si interfaccerà con altri musicisti o magari sarà insegnante lui stesso e dunque i miei insegnamenti nel bene e nel male entreranno in rapporto con una quantità inimmaginabile di persone.